Donne e lavoro: il Covid è maschilista
E' un 8 marzo particolare quello che festeggiamo quest'anno. Nel 2021, infatti, ricorrono 4 anniversari da non dimenticare: 110 anni dalla prima giornata internazionale della donna, 100 dalla scelta della data unitaria dell'8 marzo, 75 dalla comparsa in Italia del simbolo della mimosa e il centesimo compleanno dell'inventrice del simbolo, Marisa Rodano, partigiana e femminista, prima donna a ricoprire un'alta carica politica in Italia, quella di vicepresidente della Camera dei Deputati dal 1963 al 1968. Ci sono quindi tanti motivi di riflessione e di impegno con sullo sfondo ovviamente l'emergenza pandemica che ha acuito ancor di più le differenze di genere, soprattutto in ambito lavorativo.
A questo tema la Cgil di Benevento ha dedicato una videoconferenza nella consapevolezza che l'autonomia nel lavoro è un aspetto decisivo dell'emancipazione delle donne. Purtroppo, la crisi sanitaria, sociale ed economica che il Paese sta attraversando ha aggravato il problema della discriminazione femminile, come d'altronde dimostrano anche i dati resi noti dall'Istat e dall'Inps negli ultimi tempi. “La pandemia ci ha colpiti duramente – ha osservato Luciano Valle, segretario generale del sindacato beneventano -. Non eravamo pronti dal punto di vista sanitario, sociale, produttivo ma anche relazionale. Sono venuti a galla quei deficit strutturali e storici che attraversano il nostro Paese. Le vittime principali di questa crisi sono state le donne che hanno perso il lavoro. Stiamo parlando della fascia più debole che soffre la mancanza di un welfare adeguato: l'assenza di asili nido, la differenza salariale, la difficoltà a conciliare casa e lavoro. Noi siamo per una società dove la persona venga messa al centro, senza disparità di genere”.
I ritardi di genere sono evidenti se si vanno a prendere le cifre di questo ultimo anno perché i numeri non mentono. Pio Di Domenico, direttore dell'Inps di Benevento, ha snocciolato i dati della provincia sannita che però non sono molto differenti da quelli di altre aree d'Italia. Le disparità iniziano già per ciò che riguarda i lavoratori dipendenti che nel Sannio sono attualmente circa 36.000. Di questi il 62% sono uomini e il 38% donne. Le percentuali si ribaltano nel settore impiegatizio dove ci sono 6.000 donne su 10.000 lavoratori. “E' l'unica categoria dove misuriamo un'inversione di tendenza”, ha sottolineato Di Domenico. Ciò non vale invece quando parliamo di quadri (285 uomini e 82 donne) e dirigenti (131 uomini e 46 donne).
Altra questione aperta riguarda i tempi di lavoro. Il 72% dei rapporti di lavoro degli uomini è a tempo pieno, solo il 41% per le donne. Ciò ha automaticamente un effetto sulla retribuzione giornaliera media che è di 75 euro lordi per gli uomini e 54 per le donne. Per quanto riguarda i contratti registrati, il 19% sono a tempo determinato per gli uomini, il 24% per le donne. I dati non sono incoraggianti neanche sui congedi parentali: 305 quelli usufruiti dalle donne nel primo semestre e solo 84 da parte degli uomini. Un equilibrio in linea con i dati nazionali. Nel lavoro autonomo le cose non vanno meglio. La percentuale delle donne nel commercio è del 36% e nell'artigianato del 23%.
“I dati dimostrano come in Italia siamo in ritardo con all'approccio politico e culturale”, ha attaccato Nicola Ricci, segretario generale regionale della Cgil, che ha poi presentato le cifre dell'ultimo rapporto Istat secondo cui sono stati persi 312mila unità lavorative per le donne, di cui 42mila soltanto in Campania. “Il Covid non ha fatto altro che acuire i problemi che già c'erano. Tutte le classifiche ci dicono che l'Italia è sotto la media europea. Negli ultimi 20 anni questa disparità di genere si è manifestata attraverso la disparità salariale. Uomini e donne non partono dalle stesse premesse anche perché sono vittime di luoghi comuni ancora da sfatare. Non è vero che le donne del Mezzogiorno hanno un grado d'istruzione inferiore agli uomini, non è vero che non hanno la propensione al lavoro straordinario, non è vero che la maternità e la mobilità sono condizioni di disparità”, ha spiegato Ricci che ha chiesto una regolamentazione dello smart working oltre che a un piano di assunzioni nel pubblico così come nel privato.
Il punto di vista della parte imprenditoriale è stata portata da Clementina Donisi, neo vicepresidente della Confidustria di Benevento. La sua esperienza lavorativa e aziendale cozza con i dati esposti in precedenza. “Nella mia azienda abbiamo il 40% di donne che ricoprono anche ruoli apicali. Sono donne il responsabile del settore qualità, il responsabile del settore acquisti, il responsabile del settore estero, il direttore della pianificazione della produzione, il capo reparto dell'area imballaggio e spedizione. La differenziazione di genere nel mondo del lavoro non c'è più quando interviene la competenza. Il divario quindi si accorcia quando interviene la professionalità. Noi dobbiamo spingere sul piano culturale per una maggiore qualità nella formazione. Nel mio piccolo sto cercando di riportare questa impostazione nell'associazione dove ho presentato un programma incentrato sulla cultura del merito”.
Anche Tania Scacchetti della segretaria nazionale della Cgil ha evidenziato che “incontriamo tante buone pratiche nel Paese anche perché la partecipazione delle donne al mondo del lavoro favorisce il benessere generale e una maggiore attrattività. Purtroppo però si tratta di esperienze ancora limitate perchè l'Italia soffre di divari strutturali molto forti che la pandemia ha allargato”. Per la sindacalista, ci vuole anzitutto una rivoluzione delle priorità. “Gli investimenti devono essere fortemente condizionati alla generazione di occupazione giovanile e femminile. C'è poi un tema culturale perché abbiamo un ritardo molto forte nell'infrastrutturazione sociale. Ad esempio dobbiamo iniziare a parlare di economia della cura che genera reddito e benessere così come cambiare linguaggio per non parlare più di misure di conciliazione ma di condivisione delle responsabilità