
L'eredità di Roberto: "Dio ha perso la testa per ognuno di noi"
Il 2025 segna un anno speciale per chi ha avuto il privilegio di conoscere Roberto Romanelli, marito, padre e medico con una statura umana, spirituale e professionale fuori dal comune.
A quasi sei anni dalla sua prematura e improvvisa scomparsa, avvenuta l'11 maggio 2019, da poche settimane è stato dato alle stampe un libro a lui dedicato mentre lunedì 24 marzo nel “suo” ospedale di Careggi a Firenze si terrà un incontro pubblico che riunirà amici, colleghi e pazienti nel ricordo di un uomo che ha lasciato un'impronta indelebile nel mondo della medicina e non solo.
Si tratta di due circostanze favorevoli per indagare la figura di Roberto, il cui nome è sinonimo di competenza e dedizione. D'altronde, tutti coloro che lo hanno incontrato testimoniano che è stato un faro nelle loro esistenze. La sua passione per la scienza medica e la sua capacità di trasmettere conoscenza, però, sono solo una parte della sua eredità.
Più di ogni altra cosa, infatti, Roberto si distingueva per la sua fede e la sua umanità, per la sua capacità di ascoltare, comprendere ed aiutare le persone. E' stato un vero maestro: capace cioè di insegnare non solo con le parole ma con l'esempio, credendo nell'importanza di un approccio globale ed empatico alla medicina.
Come possiamo sintetizzare allora una personalità così attraente e trascinante? Prendiamo in prestito le parole del suo padre spirituale, don Andrea Bellandi, ora arcivescovo primate di Salerno, estrapolate dalla omelia pronunciata durante il funerale: “Roberto era una persona speciale, particolare. Un uomo buono, un uomo capace di voler bene, capace di costruire, costruire nel lavoro, costruire negli affetti, costruire nelle amicizie”.
Interessante indagare quale era il punto sorgivo di questa tensione nella vita di Roberto. Ci aiuta ancora don Andrea: “Non ha vissuto un istante che non fosse vissuto, non per qualcosa, per Gesù. Ma dove è Gesù portava e porta con sé tutto, tutta la vita, tutti gli affetti, tutti gli interessi, per cui: Per me vivere è Cristo e morire un guadagno”.
Roberto viveva per Cristo, per sua moglie Maria, per suo figlio Pietro, per il suo lavoro di medico, per gli amici del movimento di Comunione e Liberazione a cui si era attaccato con una fedeltà e un trasporto commoventi, per i colleghi. Il libro, scritto da Gabriella Anodal, rappresenta una testimonianza imprescindibile di tutto ciò.
Si tratta di pagine intensissime che racchiudono non solo il racconto di un percorso professionale eccezionale, ma la traccia di un uomo che ha saputo dare un significato profondo al suo lavoro perché, come recita il titolo dello stesso volume, “Dio ha perso la testa per ognuno di noi”. Questa certezza, fissata in un messaggio che Roberto aveva inviato ai suoi amici, era il leit motiv di tutta sua vita.
Bellissime anche le foto che corredano i ricordi di chi lo ha conosciuto e che ci raccontano di un uomo che non si è mai accontentato delle risposte facili, ma che ha sempre cercato di approfondire, di interrogarsi, di migliorare, con una cura della vita spirituale che portava Roberto a recarsi a messa ogni mattina nella chiesa del monastero delle benedettine, prima di andare al lavoro.
Ci sarebbero tanti episodi da riportare sulla vita di Roberto ma per conoscerli rimandiamo alla lettura del volume. Qui ci interessa ripercorrere brevemente la sua parabola umana che è ricca di traguardi raggiunti e che oggi formano il puzzle di una esistenza intensa e piena.
Innanzitutto va detto che Roberto era nato in Sicilia, precisamente a Ragusa, il 12 marzo 1959, dove il padre si era trasferito per motivi di lavoro. Dopo nove anni la sua famiglia si era trasferita a Pistoia ricongiungendosi con gli altri parenti. Sin da adolescente, si era avvicinato alla parrocchia, aiutando al catechismo e animando la messa con il canto e la chitarra.
Conclusa la scuola superiore, si era trasferito a Firenze per iniziare gli studi di medicina. Si era laureato nel 1985 e cinque anni dopo aveva conseguito il dottorato di ricerca. Successivamente era volato negli Stati Uniti alla volta di Boston dopo aveva trascorso due anni approfondendo le sue conoscenze. Quando era rientrato in Italia, ha continuato la carriera universitaria, diventando professore associato. Inizia a lavorare presso l'Ospedale di Careggi come epatologo e medico internista.
Nel 2002 era avvenuto l'incontro con Maria ad una festa organizzata da alcuni amici. Un anno dopo il matrimonio ad Assisi celebrato da uno zio frate francescano. Dopo quattro gravidanze non giunte a compimento, nel 2007 era nato Pietro. Grazie alla moglie si era legato alla storia di Cielle e gli esercizi spirituali di Rimini del 2004 hanno segnato una tappa fondamentale di maturazione umana e cristiana nella vita di Roberto. Fino alla sua morte, sarà coinvolto in tante iniziative, a partire dall'associazione Medicina e Persona, dalla fondazione del Banco Farmaceutico e dal gruppetto di scuola di comunità a cui era tanto affezionato.
Sono tanti i frutti maturati grazie a Roberto. Dopo un mese dalla sua salita al Cielo, ad esempio, ogni settimana un gruppetto di sanitari ha iniziato a recitare l'Angelus nella cappella del padiglione del Pronto Soccorso dove, tra l'altro, nel 2020 è stato posto un pannello in suo ricordo a seguito della mostra su San Giuseppe Moscati, il medico santo.
Proprio a Careggi, lunedì 24 nel pomeriggio, si terrà un momento di riflessione e di condivisione, un'occasione per ritrovarsi insieme, in un luogo simbolico per la sua carriera. Careggi, infatti, è stato il luogo in cui Roberto ha passato gran parte della sua vita professionale, ed è lì che ha formato e ispirato generazioni di medici, che oggi continuano a portare avanti il suo insegnamento. La sua figura, infatti, è stata una costante nella formazione di tanti professionisti della salute, e il suo pensiero continua a risuonare in chiunque abbia avuto il privilegio di lavorare al suo fianco.
Questa celebrazione non sarà solo un’occasione per ricordare il suo contributo scientifico, ma anche per sottolineare l’importanza della sua visione etica della medicina. Roberto credeva fermamente che il medico dovesse essere, prima di tutto, un uomo in grado di entrare in empatia con il paziente, di comprenderne la sofferenza e di accompagnarlo in un percorso che fosse anche umano, oltre che scientifico.
Si parlerà della sua attività scientifica e clinica con gli interventi di Fabio Marra, professore ordinario di Medicina Interna; e di Giacomo Laffi, professore emerito di Medicina Interna. Il “collega” Roberto sarà tratteggiato da Anna Linda Zignego, già professore associato di Medicina Interna; mentre il ricordo dell'amico sarà curato da Guido Miccinesi, dirigente medico epidemiologo di ISPRO e diacono della Diocesi di Firenze. Infine, mons. Andrea Bellandi concluderà la serata con un ricordo dell'uomo Roberto. All'incontro, moderato da Donatella Lippi, porterà i saluti Daniela Matarrese, direttore generale dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi.
In un’epoca che tende spesso a dimenticare il valore dell’ascolto e della compassione, Roberto Romanelli rimarrà per sempre un esempio di come la medicina possa essere tanto arte quanto scienza, tanto dedizione alla cura quanto impegno a migliorare la vita di chi soffre.
L’uscita del libro e l’incontro di Careggi sono solo un piccolo, ma significativo tributo, a un uomo che ha saputo unire la passione per la medicina alla capacità di rendere il mondo un posto migliore. La sua eredità, fatta di conoscenza, umanità e rispetto, continua a vivere in chi ha avuto la fortuna di incrociare il suo cammino.

