La scossa di Cuperlo: “Il fine della sinistra non è il governo”
È Livorno l’epicentro delle celebrazioni per il centenario della nascita del PCI. Non potrebbe essere altrimenti dato che la città toscana è considerata da tutti, a buon diritto, la culla del comunismo italiano dopo la storica e drammatica scissione consumatasi il 21 gennaio 1921 all'interno del teatro Goldoni, dove andava in scena il congresso del Partito Socialista. È in coincidenza con questo importante anniversario che la locale Amministrazione comunale, nuovamente a guida centrosinistra dopo il quinquennio grillino, ha organizzato un denso programma di eventi e di riflessioni con l’obiettivo di rievocare la storia ma anche di tracciare percorsi futuri per la sinistra, da sempre alle prese con quella che Ezio Mauro ha definito “la dannazione” della divisione.
La prima tappa si è svolta ieri, lunedì 1 febbraio, con la partecipazione di Gianni Cuperlo, uno dei testimoni privilegiati della fine del PCI, annunciata da Achille Occhetto con la famosa svolta della Bolognina dell’89. In quegli anni Cuperlo era a capo della FGCI, l’organizzazione giovanile del partito, anzi ne è stato l’ultimo segretario. Il suo è il classico profilo di quello che una volta si sarebbe chiamato funzionario di partito: segretario della Sinistra Giovanile, parlamentare, nel 2013 candidato alla segreteria del PD di cui poi è stato presidente per lo spazio di un mattino ed infine battitore libero dopo aver rifiutato il seggio elettorale propostogli da Matteo Renzi per protesta contro i candidati paracadutati. A lui è stato chiesto di parlare del PCI come scuola politica e comunità umana. Ad intervistarlo Luigi Vicinanza, già direttore del Tirreno e dell’Espresso, con un passato da giornalista del quotidiano L'Unità.
Ad aprire l’incontro on line, organizzato dalle associazioni culturali 21 e Caffè della Scienza Badaloni, in collaborazione con Istoreco, è stata Annamaria Biricotti, iscritta prima al PCI, poi ai DS, oggi al PD, con una lunga esperienza alle spalle di amministratrice e parlamentare. Nel suo intervento ha sottolineato il ruolo del Partito Comunista nella storia d’Italia: “Ha contribuito a liberare il Paese dal nazifascismo, a costruire la democrazia, ad avviare la Repubblica. È stato un partito di massa, deposito di grandi valori, sempre a difesa dei lavoratori e capace di incanalare la protesta nel solco della democrazia”.
Sulla stessa falsa riga le parole del sindaco di Livorno, Luca Salvetti che, accompagnato dall’assessore Simone Lenzi, ha ribadito l’impegno del Comune per onorare al meglio questo passaggio storico e dare un contributo di riflessione per il futuro. “Da una parte c’è la nascita del PCI e ciò che ha voluto dire per il Paese - ha detto il primo cittadino -. Dall’altra c’è il PCI e la città di Livorno che hanno sempre avuto un rapporto intenso di cui andiamo orgogliosi”.
Che ci sia una rinnovata attenzione alla storia del Partito Comunista lo testimoniano gli oltre 16 titoli che sono stati stampati e fanno bella mostra sugli scaffali delle nostre librerie. Il dato è stato sottolineato dallo stesso Cuperlo che ha regalato ai presenti uno spaccato autobiografico riguardante la fine di quella storia. “Mi sentì inadeguato ad affrontare un passaggio che investì anche la nostra organizzazione. Appartengo a una generazione che scelse quella parte perché c’era Berlinguer. In lui avevamo visto non un ripiegamento settario ma uno sguardo che riguardava il dopo. Uno slancio di innovazione culturale che cercava di posizionare il partito all’interno di un contesto che stava cambiando. L’obiettivo era quello di avvicinare il PCI ad una funzione politica di governo anche se la sua strategia fallí quando venne rinvenuto il corpo senza vita di Aldo Moro”.
Nelle parole di Cuperlo, però, non c’è un atteggiamento di nostalgia per una fase storica ormai conclusa, bensì “la delusione per ciò che è accaduto dopo, per ciò che la sinistra non ha saputo dire e fare anche nella selezione della classe dirigente e nel proporre una visione ideale. È chiaro che non possiamo tornare indietro rispetto al modello organizzativo, ai riti e ai dibattiti di un tempo. Temo soltanto che il balzo compiuto sia stato troppo brusco e che non siamo riusciti a metabolizzare quanto era accaduto”.
“L’analisi è tutto”. A proposito dell’identità e della cultura di riferimento sono state ricordate le parole che un giorno Palmiro Togliatti rivolse ad Alfredo Reichlin. “Abbiamo dato vita al PD senza definire la sua identità, la sua missione e la sua funzione storica. Volevamo unire i ceppi del riformismo italiano ma abbiamo finito per costruire un partito contenitore, post-ideologico e post-identitario. Da 25 anni c’è una perdita progressiva di rappresentanza di quello che una volta chiamavamo il blocco sociale di riferimento. Abbiamo perso il rapporto con un pezzo importante della società perché è saltata la capacità di relazione. Prima avevamo il soggetto ma non il governo, ora è il contrario con la conseguenza che il governo è diventato il fine e non il mezzo”.
L'istantanea del ragionamento dell'ex parlamentare riporta al 2008 quando, Walter Veltroni segretario, il PD candidò contemporaneamente alle elezioni politiche il falco della destra confindustriale Massimo Calearo e uno dei sopravvissuti della strage della ThyssenKrupp di Torino Antonio Boccuzzi. Due mondi e due storie totalmente diverse che difficilmente possono convivere nello stesso partito e ancor di più avere la stessa visione del mondo, soprattutto quando le diseguaglianze sociali si allargano. Secondo Cuperlo, è stato proprio questo il momento esatto in cui la sinistra non ha rappresentato più quel mondo ed “è arrivata la destra che, a mio avviso, è pericolosa perché rovescia il tavolo promettendo il Bengodi alle fasce più deboli della società e rivendicando i valori più reazionari della democrazia e della rappresentanza. Ecco perché non dobbiamo rinunciare a questa parte del Paese”.
Da dove ripartire allora? Nella storia e nell'esempio del PCI c'è una traccia per il futuro della sinistra italiana. Un esempio è il valore che si dava al linguaggio. “C'era un rigore nel proporsi che esprimeva la matrice culturale di quella forza. Quei capi politici avevano un profilo carismatico. Sia in pubblico che in privato mantenevano un linguaggio che era più moderato del loro elettorato. Il loro obiettivo non era quello di incendiare la piazza. Li animava la funzione di favorire l'ingresso delle masse popolari dentro il grande patto costituzionale. Oggi, invece, il linguaggio tende ad incendiare gli animi perché sono venute meno le identità, generando così una dialettica che ha perduto il suo prestigio”.
Grazie Carlo! I complimenti, però, sono da girare a Cuperlo che ha fatto un'analisi perfetta sul passato, sul presente e sul futuro della sinistra.
Complimenti Pellegrino davvero un bell' articolo il tuo ....... del tutto condivisibili le tue "osservazioni" di alto e spiccato acume politico.