In vacanza con i propri studenti: un'esperienza unica. Da raccontare
“Per educare ci vuole un villaggio” è una fortunata espressione di Papa Francesco che però ho compreso meglio soltanto la settimana scorsa andando in vacanza con un gruppo di alunni.
Non è stato un viaggio d'istruzione né un'uscita didattica perché, come già sapete, la scuola è chiusa da un pezzo. Ma allora di cosa si tratta? Di una vacanza vera e propria che da alcuni anni organizzo insieme ad alcuni amici insegnanti di Firenze.
Finiti gli esami di terza media, invitiamo alcuni ragazzi a trascorrere qualche giorno insieme perché vogliamo che l'amicizia nata tra i banchi, continui anche fuori.
Questa volta siamo stati a Nocera Umbra dal 3 al 6 luglio. “Quello che cerchi c'è” è stato il titolo della vacanza a cui hanno risposto in 130 da diverse scuole della città e della provincia.
Mi sono chiesto più volte quale potesse essere il modo migliore per raccontare questa esperienza e mi sono risposto che è utile partire dalla fine, cioè dai messaggi ricevuti da alcuni ragazzi una volta tornati a casa.
“Ho fatto molte amicizie e il mio desiderio si è avverato”; “Questa vacanza ha fatto eruttare il vulcano che giace in me”; “La vorrei ringraziare per avermi invitato a questa vacanza”; “Spero che la nostra amicizia non si interrompa”.
Cosa hanno vissuto i miei studenti in quei giorni per scrivere delle cose del genere? Perché questa esperienza ha rivoluzionato il loro rapporto con la realtà? Non è facile riassumere in poche battute l'intensità e la bellezza sperimentata insieme perché si rischia di cadere nell'emozione del momento.
Possiamo dire che è stato un avvenimento, uno di quelli con la “A” maiuscola, cioè un luogo, un villaggio appunto, dove i ragazzi hanno sperimentato una Presenza attraverso un'amicizia, una preferenza che si è manifestata loro già nel momento in cui sono stati invitati mesi addietro. Doveste vedere com'erano contenti quando li ho chiamati ad uscire fuori dalle classi per dare loro il volantino della vacanza... Si sono sentiti chiamati per nome, scelti tra centinaia di coetanei...
Che ci fosse qualcosa di bello e di vero nell'aria lo avevo già capito la settimana prima di partire quando ci siamo convocati per mangiare una pizza insieme e così formare il gruppo. Inaspettatamente erano tutti presenti, nonostante qualcuno di loro dovesse ancora sostenere la prova orale dell'esame il giorno successivo.
C'era un desiderio di stare insieme e di partire che non era assolutamente banale. Considerate che per alcuni era la prima volta lontani da casa per alcuni giorni. Rivedo i loro volti il giorno della partenza. Rivedo i primi passi una volta arrivati all'Isola Polvese prima tappa del nostro viaggio, il guardarsi intorno e le classiche domande “a che ora mangiamo?” e “quando andiamo in albergo?”. Rivedo le camminate, i giochi, i momenti tutti insieme.
Rivedo il magico momento del tempo libero in cui rivivono anche gli “stanchi morti”, si riacquistano forze impensate prima, si destano gli animi di tutti tanto da non fare quasi in tempo a dare gli avvisi che già sono metri e metri lontani da te.
Rivedo i pasti: chi mangia qualunque cosa, chi mangerebbe pure il compagno, chi non prende quasi nulla perché non l'ha cucinato la nonna o la mamma, e poi gli immancabili seguaci del bar, che mangiano prima con tutto il gruppo e dopo si ingozzano di patatine, thé e gelati.
Rivedo la sera, dopo cena, lo stare insieme a guardare le stelle grazie a Leonardo che, insieme a Francesca, è venuto a trovarci per regalarci una bellissima testimonianza su come sia possibile essere amici anche sul lavoro; rivedo le chiacchierate durante la ripresa del pomeriggio, occasione unica di confronto e di dialogo in cui vengono fuori cose straordinarie.
Ricordo ad esempio il giorno in cui siamo stati in passeggiata sul monte Faito. Dopo un'ora di cammino, un gruppo si è fermato su una spianata per mangiare e fare due canti. Altri coraggiosi sono saliti in cima. Nessuno, però, ha raccontato la fatica, la stanchezza, il caldo... Una di loro ha scritto: “In vetta mi sono resa conto che molto spesso ci accontentiamo di quello che ci circonda e così facendo limitiamo la nostra anima togliendoci la possibilità di guardare oltre e fare della nostra vita qualcosa di meraviglioso”.
Stiamo parlando di ragazzi di 13 anni, adolescenti, che spesso descriviamo distratti e svogliati e che, invece, presi sul serio nel loro desiderio ci dimostrano una febbre di vita che inizia ad essere qualcosa di desiderabile anche per noi adulti accompagnatori.
Una febbre di vita che poi abbiamo visto in azione durante tutta la vacanza. Ci sono stati ragazzi che si sono implicati nella band per la festa finale, altri che non si sono persi un torneo, altri ancora che hanno approfondito la conoscenza e l'amicizia con coetanei di altre scuole.
Uno stupore, un'attenzione, una partecipazione, un cuore che non avevo visto mai così in azione. L'apoteosi è stata l'assemblea dell'ultimo giorno. Avevamo calcolato un'ora e mezza perché poi saremmo dovuti partire per Assisi dove ci aspettava il Paf (don Pierfrancesco) per celebrare la messa dopo la visita alla tomba di San Francesco.
Ed invece gli autobus hanno dovuto attendere perché i ragazzi non finivano di alzare la mano per prenotarsi, parlare e raccontare la loro esperienza dei giorni trascorsi insieme. Tutti hanno sottolineato che le camminate, i giochi, le riflessioni, i momenti liberi avevano risposto al loro desiderio di essere felici.
Aderendo a un invito dei prof, si sono aperti alla bellezza, alla realtà, agli altri, a loro stessi. Perché è possibile guardare la bellezza ma non vederla. Ecco allora il bisogno di un amico che si faccia compagno di strada. Non siamo soli a portare questo cuore, questi desideri, ma anche tutti i dolori e le cicatrici che abbiamo dentro.
Sentendoli parlare e piangere per la commozione, ci rendiamo conto che la vacanza non finisce una volta ripresi in consegna dai genitori. Perché quel che è nato in questi giorni non finisce con la vacanza. C'è qualcosa che è fiorito nel deserto che a volte viviamo. Perciò molti chiedono di rivedersi, di stare di nuovo insieme. I miei alunni invitano per settembre un gruppo di Compiobbi a visitare il “loro” parco dei Renai.
E' proprio vero che ogni viaggio comincia quando finisce. Vale soprattutto per le relazioni significative, i legami, le amicizie, gli affetti che nascono, si rafforzano, si scoprono, entrano un po' in crisi proprio in quei tanto attesi giorni.
Sì, perché spesso non importa tanto dove si va, ma con chi si sta; sono i compagni e certi prof l'anima del viaggio, sono loro quelli con cui attendere, sognare, formarsi, imparare, condividere, gioire, stancarsi, ogni tanto litigare, ballare, cantare a squarciagola, giocare, ascoltare, meravigliarsi.
Alla fine dell'album della memoria ci sono i volti pieni di gratitudine e in qualche caso di commozione al momento dei saluti finali; ci sono i ringraziamenti non scontati e genuini; ci sono gli abbracci inattesi di studenti fino a quel momento timidi e silenziosi, c'è il gruppo whatsapp che continua a essere animato ad una settimana di distanza.
Quello che cerchi c'è e noi lo abbiamo incontrato.
Ho partecipato a questo viaggio ed è stata una cosa stupenda, ci siamo goduti tutto il paesaggio che avevamo intorno al luogo dove alloggiavamo noi ragazzi e abbiamo conosciuto un sacco di persone con cui mi sono trovata subito a mio agio, o almeno questo per me. La cosa più importante che però ho capito è che: quello che cerchi c'è, ed è una cosa verissima e stupenda che ho capito in questo viaggio e che ha cambiato il mio modo di vivere e di pensare.