Quadratini e carità: quando il dolore non ha l’ultima parola sulla vita
E’ passata una settimana da quando, su invito di alcuni amici, sono andato a Bologna per partecipare ad una delle quattro giornate del Campus By Night, una manifestazione organizzata nel centro cittadino dagli studenti dell’associazione “Student Office” dell’Alma Mater.
Da vent’anni, attraverso mostre, conferenze e spettacoli, l’evento ha l’obiettivo di portare all’intera comunità universitaria e a tutti i cittadini ciò che nella vita e nello studio appassiona e affascina un gruppo di giovani. Quest’anno il titolo scelto era “Un’amicizia per vivere, vivere per un’amicizia”.
Non conoscevo questa esperienza ma quando sono arrivato in Piazza Scaravilli ho subito respirato un’aria di festa, di familiarità e di grande coinvolgimento. Mi sono sentito a casa. D’altronde, non capita tutti i giorni di vedere all’opera dei ragazzi che si mettono in gioco per testimoniare pubblicamente un ideale ma anche per vivere intensamente il reale.
Nulla che avesse a vedere con le ideologie di cui invece parlavano gli striscioni e le tende che campeggiavano sotto gli stessi portici della città per protestare contro il caro affittii. Solo l’evidenza di un’amicizia semplice, e allo stesso tempo profonda, capace di svelare il senso e la bellezza dell’esistenza.
Tutto ciò mi è stato profondamente chiaro quando, insieme alla guida Teresa Pastore, giovane studentessa fiorentina di Scienze dell’educazione, mi sono recato a visitare la mostra dedicata ad Enzo Piccinini, il medico bolognese grande amico di don Luigi Giussani, di cui in questi giorni ricorderemo il ventiquattresimo anniversario della morte.
Avvicinandomi ai pannelli, mi sono chiesto cosa aveva spinto questi giovani universitari ad ispirarsi e a proporre una figura così lontana dalla loro generazione. Nella disillusione e nella solitudine che segnano il nostro tempo, evidentemente hanno visto in Enzo un uomo capace di vivere fino in fondo e senza compromessi il suo desiderio totale di essere felice.
E Piccinini era uno che credeva profondamente nel valore dell’amicizia intesa come compagnia al Destino tanto è vero che fu tra i primi in Italia a creare un team medico caratterizzato dall’approccio multidisciplinare e dall’apertura alla ricerca. Diceva: “Non si riesce a mettere il cuore in quel che si fa, non si resiste, perché la realtà è dura e il cuore cede e dopo un po' incomincia il lamento o incomincia l’autodifesa: bisogna non essere soli. Bisogna non essere soli”.
Un aspetto che è venuto fuori anche in serata quando sul palco sono saliti don Eugenio Nembrini, sacerdote bergamasco e fondatore di “Quadratini e carità”, associazione nata per sostenere amici ammalati, e Davide De Santis de La Mongolfiera, associazione di sostegno a famiglie con figli disabili.
La loro testimonianza è partita da un interrogativo legittimo ma allo stesso tempo abbastanza provocatorio. Si può essere felici anche se non va tutto bene? L’incontro è iniziato con una risposta secca: no, non si può essere felici, almeno stando alla mentalità corrente nella quale siamo immersi.
Attraverso i loro interventi, però, è stato chiaro sin da subito che è possibile un’altra strada cioè che il dolore possa non avere l’ultima parola nella vita di ciascuno di noi e in quella del mondo.
Mi hanno particolarmente colpito le parole di don Eugenio che pure avevo sentito altre volte su YouTube dove ha un canale sul quale carica i video degli incontri mensili con i cosiddetti “quadratini”. Per chi non lo conosce, Nembrini è un prete molto alla mano, semplice nei modi e nei ragionamenti. E’ arrivato sul palco bevendo un bicchiere di birra e fumando una sigaretta. Non si è risparmiato nei saluti agli amici sia prima che dopo l’incontro.
Mentre c’era il Covid don Eugenio era solito celebrare la messa in casa a Roma. Fu allora che un’amica di Napoli gli propose di seguirla via Zoom insieme alla mamma malata. Un appuntamento quotidiano che, grazie al passaparola, si è diffuso nelle abitazioni di tante famiglie che hanno una persona allettata. E’ stato così che dalla messa si è passati ad un incontro mensile in cui questi malati raccontano la loro esperienza, condividono le proprie emozioni e di come rispondono al Mistero che li chiama.
Non stiamo parlando di un gruppo di invasati o di creduloni. Vale per loro quanto si diceva per i giovani bolognesi. Dentro un’amicizia, una compagnia, scopri la possibilità di essere felice in ogni circostanza, anche quella della malattia. “L’amicizia vera è trovare gente che questa sfida l’abbraccia e ti scopri generoso e capace di cose impensabili. Cioè scopri che la vita diventa un’avventura straordinaria: amando la realtà uno diventa sempre di più se stesso”.
Così ha fatto questo prete che ha iniziato a guardare alla realtà che aveva davanti. Eppure lui non aveva mai prestato così tante attenzioni ai malati durante il suo ministero. Ad un certo punto, però, è successo qualcosa: “Qui i limiti sono grandi. Parliamo di leucemie, tumori, Sla, gente allettata che ha bisogno di tutto. Ciò che mi impressiona è che noi non facciamo niente. Cioè facciamo la messa e al termine ci raccontiamo. Entrano nella chat persone nuove, incazzate nere con la vita, con tutti gli interrogativi che una situazione drammatica ti mette davanti. Noi non diamo risposte ma succede una cosa miracolosa: incominci a volerti bene, ad amare la vita, la circostanza, a desiderare la felicità dentro a quelle circostanze, ad amare la realtà che è incasinatissima”.
Possiamo definirlo il miracolo del cambiamento. “Vedi cose dell’altro mondo” ha esclamato don Eugenio che poi ha riferito la reazione di altri suoi amici rispetto ai quadratini. “Alcuni esclamano che è una roba impossibile. Mi dicono: voi siete tutti matti. E’ impossibile andare a morire cantando, sorridendo insieme ai propri familiari. E sono già 105 gli amici che sono già andati in Paradiso. Non sono belle frasi perché tu vedi le facce di queste persone. Vedo uomini e donne felici, lieti, certi”.
Quindi si può essere felici anche quando le cose non vanno bene ma deve succedere qualcosa. “Il dono della felicità, il dono della pace, il dono dell’amicizia, il dono della verità ti hanno regalato un cuore che cerca un senso e al quale il Mistero misteriosamente risponde. Quando vedi una sfilza di persone così non puoi non commuoverti rispetto al fatto che Dio porta a termine questo tragitto e che lo vuole regalare a ognuno di noi. Se il Mistero ti abbraccia e tu ti lasci abbracciare il miracolo accade”.
La cosa bella è che questo non vale solo per gli ammalati ma per la vita di ciascuno. “Quando tutta l’aspettativa che noi riponiamo in una circostanza o in una persona non si realizza solitamente incolpiamo la realtà per quella infelicità o quella mancanza di corrispondenza, quel gusto che non hai. Così ti ritrovi a rincorrere la vita, incavolato. Ho imparato che la realtà, soprattutto quella faticosa, ha lo scopo di provocare, di suscitare in noi che siamo fatti per qualcosa di grande. E’ stata una scoperta intuire che tutta la realtà fa venire fuori che siamo fatti per la felicità. Quando capisci questo non la combatti più, l’abbracci, la ami perché è la cosa più bella che fa venir fuori che tu sei una cosa grande”.
È una bellissima testimonianza anch'io seguo i quadratini di Don Nembrini e mi aiutano moltissimo sento in quelle persone la presenza viva di Gesù