Dalla malattia al Monte Bianco: quando la vita ha una pienezza
Fino al 2012 Samuele aveva un lavoro, una moglie, due figli, tanti amici, tutta la normalità della vita mai abbastanza apprezzata. Poi un mal di testa, un mezzo svenimento e la travolgente realtà di due aneurismi celebrali.
Tutto è sconvolto, tranne la speranza che alla fine c'è “un disegno buono”, che passa attraverso la fatica della malattia e al ritorno in salute, fino alla cima del Monte Bianco dove sparge un sacchetto di chicchi di riso, simbolo degli amici che lo hanno accompagnato in questo doloroso ma bellissimo percorso.
La storia di Samuele è contenuta in un libro che si intitola “Chicchi di riso sul monte bianco” ed è stato pubblicato da Itaca edizioni nel 2019. Qualche giorno fa è stato presentato a Firenze, presso la Libreria indipendente Campus, nel quartiere universitario di Novoli.
Ad invitare l'autore e sua moglie Federica è stato Alessio, anch'egli lavoratore, marito, e padre, a cui la vita ha riservato l'esperienza della malattia. Grazie ad alcuni amici, ha letto il libro di Samuele ed insieme ad Elisa, sua moglie, si è sorpreso a trovare pagine che parlavano della sua stessa storia.
“Samuele e Federica sono persone che hanno vissuto una esperienza analoga alla nostra – ha notato Alessio -. Con Elisa ci siamo detti che ci doveva essere un'origine comune. Perciò abbiamo voluto conoscerli e raccontarci. Dopo un paio d'ore che eravamo insieme, ci siamo sorpresi nello scoprire che sembravamo amici da tutta una vita. Come si fa ad arrivare a questo punto? Non può dipendere dalla conoscenza o da affinità elettive. C'è una sorgente da cui tutto parte. Da qui c'è venuto il desiderio che ciò che hanno raccontato a noi potesse diventare patrimonio di tutti”.
Samuele Lucchi, che tutti chiamano Lallo, è nato a Cesena il 9 febbraio 1973. Dai tempi dell’università si trasferisce a Bologna insieme alla moglie Federica e ai tre figli Caterina, Pietro e Maria. E' un insegnante di educazione fisica oltre che un grande appassionato di montagna. Il 28 novembre 2012 gli vengono diagnosticati due aneurismi. Samuele scopre di essere “una bomba che cammina”.
“All'ospedale di Cesena il neurochirurgo scuote la testa perché di aneurismi così grandi ne aveva visti soltanto sette in tutta la sua carriera. Una sua collega mi propone una soluzione semi sperimentale e mi chiede: sei disposto a combattere con me? Ho risposto subito di sì perché sono un marito e un padre e poi c'era una terza ragione: mi piaceva la montagna e avevo il desiderio di vedere la montagna più alta d'Europa”.
I primi giorni Samuele li passa a fare esami. Gli amici vanno a trovarlo in ospedale ma prima passano a Livorno dalla Madonna di Montenero a cui poi si affiderà insieme a Enzo Piccinini e a don Luigi Giussani. “Sentivo questa circostanza come un'ingiustizia ma mi viene in mente una frase: quando si è nel buio si vedono meglio le stelle. Ed infatti vedevo cose in maniera non così scontate. Però in questo buio avevo un po' paura finché arrivò il giorno in cui mi dissero che il lunedì successivo mi avrebbero operato”.
La domenica il padre gli dice: per fortuna è successo a noi, altri sarebbero disperati. “Un'osservazione che mi ha fatto scandalo e su cui ho pensato tanto tempo”. Un amico invece aveva una busta in mano che conteneva una camicia di Enzo che la moglie Fiorisia gli aveva dato per me. “Quella camicia ha significato la compagnia di un amico importante”.
E' tutto pronto ma la domenica sera a Samuele inizia a far male la testa. Si stava rompendo l'aneurisma. A questo punto il racconto continua con la voce della moglie Federica che fa rientrare i medici in ospedale e chiama gli amici e i suoceri. Iniziano il Rosario fuori dalla sala operatoria che va avanti fino alle quattro di mattina. “Mi chiedevo cosa stava succedendo e come mai eravamo lì senza essere disperati. Un ragazzo osservò che gli sembrava una festa. Tante volte gli altri vedono cose che noi non comprendiamo subito”.
L'operazione va bene, miracolosamente. Il giorno dopo l'altra. Poi inizia un lungo periodo in ospedale. “Io facevo fatica a riconoscerlo. Potevo soltanto arrendermi e dire che questa cosa non potevo controllarla. Dovevo stare lì e pregare che la vita fosse salva. Avevo 36 anni e i bambini piccoli. La resa è stata capire quando tu non puoi fare nulla. È stata un esperienza anche di buio profondo ma il Signore mi ha mandato qualcuno sempre, amici, medici, infermieri, persone che mi portavano un po' di luce che mi faceva stare meglio. Potevo stare bene, cogliere una bellezza anche in quel momento”.
Dopo 23 giorni il ritorno a casa, tra alti e bassi. Dopo tre anni, il 13 e 14 luglio 2015 Samuele riuscirà a scalare il Monte Bianco. “Un giorno mentre mi allenavo, chiedevo di essere meglio di prima finché mi nasce il desiderio di fare un pellegrinaggio sul Monte Bianco come ringraziamento. Faccio di tutto per realizzare questa cosa. Ho l'ok dei medici. Trovo la guida, il periodo. Due giorni di scalata. Ho portato gli amici come un sacchetto di riso. Portare su una cosa che ha un peso, costa una fatica”.
“In cima mi sono sentito preferito. La vita non delude, è misteriosa ma al fondo c'è una pienezza. Io l'ho potuta sperimentare così grazie a una educazione, a una compagnia, a mia moglie. Mi conviene dire si”, conclude Samuele.
Il libro, invece, risale al 2019. “Negli anni precedenti avevo raccontato la mia storia agli amici ma mi accorgevo che alcuni particolari li stavo modificando o dimenticando. Allora ho deciso di scrivere anche per lasciare a mia figlia qualcosa di quanto mi era accaduto”. Un volume a più voci, in cui il dramma di Samuele è raccontato non solo dal protagonista, ma anche da quanti gli sono stati vicini e lo hanno accompagnato in un cammino sospeso tra la vita e la morte: la moglie, i figli, i medici, gli amici, visibili e invisibili. Una storia che ha il sapore del miracolo e della gratitudine.