Giovani nella tana del coniglio: ciò che tiene ancora vivi è il desiderio
Chiunque di noi frequenti adolescenti e giovani si rende conto facilmente di quanto sia diffusa tra loro la problematica dei disturbi alimentari. E' una condizione che tante famiglie si trovano a vivere, soprattutto dopo gli anni della pandemia che hanno influito negativamente su tante persone, in maniera particolare sui ragazzi.
Una vera e propria emergenza, stando ai numeri delle statistiche nazionali e agli studi degli specialisti, che può essere letta e indagata con gli occhi dei protagonisti attraverso le loro storie, le loro difficoltà, i loro fallimenti. Come in uno specchio, la società può guardare se stessa e a ciò che è diventata, in un'epoca in cui dilaga la mercificazione del corpo e i canoni estetici imposti dai social.
Un lavoro di questo tipo è stato tentato, con successo secondo noi, da Francesca Fialdini, volto noto della Rai, che è in libreria con il suo “Nella tana del coniglio” che venerdì scorso la conduttrice ha presentato a Firenze, presso la Campus di Giampaolo Pampaloni, insieme allo psicoterapeuta Massimo Giusti.
Il testo è nato dopo che la Fialdini ha condotto su RaiTre la fortunata docu-serie “Fame d'amore” che, attraverso racconti in presa diretta, entrava in un mondo che fino a quel momento era rimasto ai margini della narrazione televisiva.
“E' stata una proposta dell'allora direttore generale però avevo già una passione per queste tematiche che avevo affrontato in altri programmi. Ma mi ero accorta che il pubblico si allontanava, fuggiva. Forse non era il momento. Gli eventi ora ci hanno travolto. Abbiamo il dovere di correre per dare strumenti per capire ciò che sta succedendo. Negli anni novanta anche a scuola c'erano questi problemi a cui però non si dava un nome. Anche la mia amica si ammalò, cosa avesse davvero non si sapeva, andò a vivere all'estero. Questa cosa qui mi è rimasta dentro. Ero impotente. Non avevo strumenti per capire”.
Secondo l'autrice, il tradimento è il filo rosso delle storie che racconta; la causa scatenante che porta tante persone a rifugiarsi nella tana del coniglio. C'è una ferita profonda, insomma, che viene causata da una figura adulta che provoca uno smarrimento così forte da non farti più avere un posto nel mondo.
“Chi di noi nella vita non si è sentito tradito? Tutti abbiamo sperimentato questa condizione perché esistono i sentimenti, le emozioni, le aspettative. Quando siamo traditi ne conosciamo gli effetti. Un senso di ridimensionamento, un dolore. Iniziamo a sentirci poca cosa. Questo acquisisce una dimensione ancora più potente quando il tradimento lo subiamo da una persona che dovrebbe esserci sempre per noi: un genitore. Però siamo tutti esseri umani, facciamo le nostre scelte, la nostra vita”.
Quando ti senti ferito non c'è la forza né la voglia di perdonare. “Chi manifesta un disturbo alimentare ci sta dicendo qualcosa di molto forte. Ad esempio, a volte si sceglie di non guarire oppure, come nel caso di Benedetta, ci può essere un sentimento di vendetta. Lei è nata in una famiglia normale, anche benestante. La prima di tre figli. Non ha mai perdonato alla mamma di aver messo al mondo i suoi fratelli. Una cosa che sfugge alla nostra comprensione. Oggi ha 38 anni e non si libera di questa cosa. Non vuole crescere, non vuole diventare adulta e vuole imporre ai suoi genitori una punizione: vederla in quella condizione. E' caparbia nella sua scelta; si è identificata con il suo disturbo”.
D'altronde, il perdono va a braccetto con un'altra parola che è la libertà. Si arriva a perdonare solo se si è veramente liberi e chi soffre di questi disturbi non lo è di certo. “Per qualcuno questa problematica è una foresta che cade; per altri un ramo. Siamo differenti e ognuno di noi ha una percezione diversa. Parlare di questo, però, è un'emergenza stando ai numeri. La pandemia ha impattato su chi aveva già delle difficoltà e i ragazzi ne hanno pagato particolari conseguenze. Insomma, era un problema che covava sotto la cenere. Per decenni il tema dei giovani non è stato toccato, neppure dalla politica. Gli unici che si interessano di loro sono i capitalisti forse perché ci vogliono tutti più fragili per comprarci meglio e di più”.
Su questo aspetto la critica di Fialdini è diventata molto aspra e puntuale. “L'unico palcoscenico per i giovani sono i talent dove sono richiesti alti livelli di prestazione. Cosa ci stanno dicendo? Che per valere devi essere migliore, essere famoso. Sui social si fa a gara per essere in vista, a prescindere da ciò che fai. È puro marketing. La società ci chiede di essere perfetti. I canoni estetici che vediamo sui social sono costruiti, non spontanei. Questo porta a criteri di giudizio di disparità tra la realtà e ciò che vediamo. Oppure diciamo ai nostri figli di essere se stessi ma a modo nostro. Gli adulti sono sulla barricata anche quando i ragazzi scendono in piazza. Le parole che usiamo hanno un valore clinico ed invece c'è grande arroganza da parte degli adulti”.
Collegato al discorso dei social c'è poi quello degli stereotipi che hanno una grande influenza sulle giovani generazioni. “Quando vediamo una ragazza estremamente magra pensiamo che ha un problema. Ma se un ragazzo è palestrato, in gran forma non lo pensiamo affatto. Invece, in entrambi i casi, ci si mette su un palcoscenico. Sono richieste di aiuto che si esprimono con il corpo. Forse c'è un narcisismo o un vantaggio secondario in queste patologie. Mi viene in mente la storia di Anna che pesa 120 chili e non se ne rendeva conto. Ci ha impiegato un anno prima di farsi aiutare. Andando in terapia ha iniziato a mettere insieme tutti i pezzi della sua famiglia. Ha portato dei pesi emotivi molto presto. Questo modo di caricarsi è sfociato in un iper lavoro e poi in un peso specifico e una separazione di chi l'ha ferita. Il cibo, quindi, ha un valore simbolico. Ci richiama la prima forma di nutrimento e di amore”.
Quando si parla dei social, ovviamente, il ragionamento scivola inevitabilmente sulla mercificazione dei corpi che poi ha portato all'esplosione del sex work così tanto in voga. “La dissociazione dal nostro corpo inficia la comprensione della realtà. Il sesso praticato online ha conseguenze su noi stessi, ha provocato un vuoto identitario. C'è mancanza di empatia, la distanza dal corpo degli altri sta creando un vuoto empatico”.
Un'ultima domanda è sul desiderio. Cosa ci libera da questo capitalismo imperante? La Fialdini ha risposto con la storia di Giulia. “Genitori separati, si è fatta carico di questa situazione familiare. Papà distante e la sua rabbia cresce. Arriva un momento che non ce la fa più e così cade nella tana del coniglio. Quando intercetta lo sguardo del terapeuta si pone il problema di cosa desiderava fare. Così ha cominciato a rifiorire, è successo qualcosa. Il percorso è lungo ma fare qualcosa per se stessi può metterci in una dimensione nuova. Il desiderio è ciò che tiene vivi e se non lo riconosciamo negli altri lo uccidiamo anzitempo”.