Il sacrificio di Rolando ci insegna la strada dell’amicizia con Gesù
A dieci anni dalla beatificazione, avvenuta a Modena il 5 ottobre 2013, la città di Firenze ospita la mostra dedicata a Rolando Rivi, il ragazzo che voleva essere tutto e solo di Gesù. Dal 5 al 14 maggio sarà possibile visitarla singolarmente o in gruppo nel chiostro della chiesa di San Michele a San Salvi, dalle 9:30 alle 12 e dalle 16 alle 20.
La mostra può essere quindi l’occasione per conoscere più da vicino un testimone della fede di cui la Chiesa ha riconosciuto il martirio. Andiamo allora ad immergerci nella storia di questo giovane che a soli quattordici anni ha dato la vita per restare fedele al suo ideale di vita.
Rolando nacque il 7 gennaio 1931 a Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, in una famiglia di contadini cristiani, unita e sostenuta dalla fede. Il giorno dopo, il papà Roberto e la mamma Albertina lo portarono nella vicina chiesa di San Valentino per farlo battezzare e successivamente lo affidarono alla Madonna del Carmelo a cui erano molto devoti.
Quando Rolando aveva da poco compiuto i tre anni, arrivò un nuovo parroco, don Olinto Marzocchini. Gli abitanti del paese lo ricordano come un sacerdote dalla “ricchissima vita interiore”, sempre attento “alle cose che veramente contano”. A cinque anni Rolando divenne chierichetto e iniziò a servire la Messa, anche se ancora non arrivava all’altare. Ascoltava con attenzione le omelie di don Olinto e a casa ne ripeteva brani a memoria. Crescendo aveva incominciato a interrogarsi su che cosa avrebbe voluto fare da grande ed aveva compreso che gli sarebbe piaciuto essere come il suo parroco.
Parlò a don Olinto di questo desiderio e il sacerdote lo incoraggiò a verificare questa chiamata del Signore. Dopo aver riflettuto, Rolando comunicò ai genitori che, terminata la scuola elementare, voleva continuare gli studi in seminario.
A 11 anni, nell’ottobre del 1942, entrò nel seminario di Marola, e vestì per la prima volta l’abito talare. Non lo lascerà più sino al martirio. La talare era il segno visibile della sua appartenenza al Signore. Questo centro attorno a cui tutta la sua vita ruotava Rolando lo esprimeva con semplici quattro parole, “io sono di Gesù”.
Un compagno di camerata, don Raimondo Zanelli, ricorda le corse nei castagneti, le focose partite a pallone e il suo amore per il canto e la musica. Tornava a casa solo durante le vacanze estive. I familiari notavano la maturazione avvenuta. Era sempre lui, ma diverso. Il più scatenato nel gioco era anche il più assorto nella preghiera e, se un povero bussava alla porta, Rolando per primo gli portava un pezzo di pane.
Tra il 1944 e il 1945 la guerra si abbatté con particolare violenza anche sull’Appenino emiliano: bombardamenti, stragi, distruzioni, sangue. I nazisti fecero irruzione nel seminario di Marola che divenne una base militare. Rolando tornò a casa, a San Valentino, ma in paese il clima era profondamente cambiato. In alcune formazioni partigiane, infatti, si era diffusa l’ideologia comunista con il progetto di fare della fine della guerra, ormai imminente, non la pace, ma l’inizio di una rivoluzione violenta per instaurare in Italia la dittatura del proletariato. Si voleva imporre un sistema sociale sognato perfetto, ma che prevedeva di cancellare Cristo dalla storia dell’uomo.
Per questo i sacerdoti e i seminaristi erano considerati nemici da abbattere. Anche don Olinto fu ripetutamente offeso, umiliato, picchiato, derubato. Nonostante il pericolo, però, Rolando decise di continuare a indossare l’abito da seminarista e all’Albertina che gli diceva “Togliti la veste talare”, lui rispondeva: “Mamma non posso. È il segno che sono di Gesù”.
Poiché voleva essere tutto e solo di Gesù e lo testimoniava pubblicamente, contro Rolando si scatenò l’odio di chi progettava di cancellare l’esperienza cristiana dalla storia. La Pasqua era passata da due settimane quando due partigiani comunisti si misero in azione. Rapirono Rolando e lo portarono prigioniero in un casolare di Piane di Monchio, oltre il fiume Secchia, sull’Appennino modenese. Era la mattina del 10 aprile 1945.
Venerdì 13 aprile, verso le tre del pomeriggio, lo stesso giorno e la stessa ora della morte di Cristo in croce, Rolando fu spogliato a forza della sua veste talare che tanto amava. In segno di disprezzo i partigiani la arrotolarono, la legarono e la presero a calci, come fosse una palla. Poi afferrarono Rolando, che aveva allora solo 14 anni, e lo trascinarono in un bosco dove era già stata scavata la fossa per lui.
Mentre pregava in ginocchio, il commissario politico gli sparò due colpi di pistola: uno alla tempia e uno al cuore. Rolando cadde a terrà e morì. Nel bosco fu ritrovato alcuni giorni dopo dal papà Roberto e dal nuovo parroco don Alberto. Domenica 15 aprile, terza domenica di Pasqua, nella chiesa di Monchio si svolse il funerale cristiano e Rolando fu provvisoriamente sepolto nel vicino cimitero.
A guerra finita, il 29 maggio 1945, la salma del seminarista fu riportata a San Valentino su un biroccio trainato da un cavallo. Gli amici e gli abitanti del paese gli andarono incontro. Poi il lungo corteo si radunò in chiesa. Tutti si unirono in preghiera e spontaneamente riconobbero Rolando come martire della fede. Le campane silenziate durante la guerra tornarono a suonare e le bandiere dell’Azione Cattolica proibite durante il fascismo tornarono a sventolare. Don Olinto, rientrato nella sua parrocchia, pronunciò l’omelia: “Rolando, con il tuo sacrificio, ci insegni la strada dell’amicizia con Gesù”.
Il commissario politico, che sparò a Rolando, e il comandante del gruppo di partigiani, che lo sequestrò, furono processati e condannati nel 1951 in primo grado e nel 1952 in secondo grado. La Corte di Cassazione rese definitiva la condanna nel 1953. Le motivazioni alla sentenza, presso la Corte di Assise di Appello di Firenze, fanno chiaramente capire che i colpevoli si accanirono con ferocia inaudita contro Rolando per odio verso le idee cristiane professate con coraggio dal giovane seminarista.
Nel 2004 nacque ì il Comitato Amici di Rolando Rivi che diede il via alla causa di beatificazione, presentando la domanda, il cosiddetto “libello supplice”, all’allora arcivescovo di Modena, Benito Cocchi. Postulatrice della causa è stata la dottoressa Francesca Consolini. Il processo diocesano si concluse il 24 giugno 2006, dopo aver ascoltato oltre 30 testimoni, con l’affermazione che il martirio del giovane seminarista “ci pare realmente avvenuto in odium fidei” e con la constatazione che “oltre a grazie di guarigioni, conversioni, soluzioni positive di gravi situazioni familiari e lavorative, vi sono decisioni di giovani di prendere la via del sacerdozio che attestano come l’esempio di Rolando sia vivo, operante e trascinatore”.
Il 23 giugno 2010 venne presentata alla Congregazione per le Cause dei Santi a Roma la cosiddetta “Positio”: quattro volumi, per oltre 2.000 pagine, con gli atti del processo diocesano, le testimonianze, i documenti, un’approfondita analisi del periodo storico e il racconto dettagliato della vita di Rolando.
Dopo l’esame dei teologi e il giudizio da parte dell’Assemblea plenaria dei Cardinali, il 27 marzo 2013 il Santo Padre Francesco riconobbe Rolando martire della fede. La beatificazione si tenne a Modena sabato 5 ottobre 2013. Rolando è beato perché ha risposto all’amore, con cui si è sentito amato dal Signore, offrendo tutto se stesso, sino al dono della vita nel bosco del martirio.
Sempre commovente e motivo di riposizione dello sguardo su Gesù Cristo è la vita del dolcissimo Beato Rolando Rivi.