Mendichiamo tutti una vita e una morte come la tua. A Dio, Silvia!
Ho conosciuto Silvia tre anni fa, nel pieno della tempesta Covid. Era l’aprile del 2020. L’avevo contattata tramite Facebook per intervistarla in vista della Giornata mondiale sul carcinoma ovarico visto che, poche settimane prima, era diventata presidente di un’associazione che supporta le pazienti affette dalla malattia che lei stessa aveva scoperto un anno prima. Fu subito disponibile. Ci sentimmo al telefono per una lunga chiacchierata. Parlammo di tutto: dei suoi problemi di salute, dei suoi studi, della sua attività associativa e del suo futuro.
Nonostante la giovane età e nonostante combattesse contro quello che lei chiamava il “killer silenzioso”, non aveva perso il suo entusiasmo e la sua positività. Uno sguardo sulla vita che mi aveva molto colpito tanto che, dopo aver raccontato la sua storia ai lettori della mia newsletter, volli che Silvia fosse ospite, seppur soltanto in collegamento video, anche del gruppo giovani di cui io e mia moglie eravamo educatori in parrocchia affinché altri ragazzi della sua stessa età potessero sentire dalle sue parole come si può stare davanti alla realtà anche quando questa non gioca a tuo favore.
L’esistenza terrena di Silvia Simoncini si è conclusa lo scorso 27 febbraio, alle 5:30 del mattino. E’ salita al Cielo circondata dai suoi affetti più cari e dalla incessante preghiera a distanza di tantissimi amici. Aveva soltanto 28 anni ma la sua vita così intensa e carica di significato ha rappresentato una testimonianza straordinaria per tutti coloro che hanno potuto conoscerla da vicino ma anche soltanto attraverso i racconti di altre persone. Come ha sottolineato don Elia Carrai, introducendo il Rosario che abbiamo recitato la sera stessa della sua morte, “Silvia ci ha dato un esempio semplice ma allo stesso tempo grande di com’è possibile abbracciare le circostanze, stare davanti al Mistero che ti chiama”. Una disponibilità e una docilità che hanno mosso il cuore di tante persone che si sono radunate in preghiera per lei e per la sua famiglia nella chiesa di Casellina.
Quella di Silvia è la storia di una ragazza semplice e allo stesso tempo speciale. Nasce il 19 settembre 1994 a Firenze da mamma Carla e papà Andrea, molto conosciuto in città per la sua attività professionale di docente universitario. Cresce in una famiglia numerosa. Oltre a lei ci sono Matteo, Caterina e Tommaso. Frequenta le scuole di Monticelli all’Isolotto e poi studia per diventare educatrice professionale e pedagogista clinico. Nell’estate del 2019 le viene diagnosticato un carcinoma ovarico borderline al terzo stadio avanzato. Come ha raccontato lei stessa, è stato tutto molto veloce e inaspettato. Inizialmente in ospedale non lo avevano riconosciuto, interpretandole come normali cisti. Dalla successiva visita del ginecologo arriva la diagnosi.
Silvia, però, non si è chiusa in sé stessa ma anzi si è affidata alla fede e alle persone che le volevano bene. Ed erano tante. A iniziare dal suo fidanzato Matteo, che poi diventerà suo marito, che le ha fatto compagnia e l’ha aiutata nei difficili mesi della chemio e degli interventi, tra l’altro coincisi con lo scoppio della pandemia. Nel frattempo si sono mobilitate la sua famiglia e i suoi amici, creando una discreta ma intensa rete di fraternità e di solidarietà, che non l’hanno lasciata mai sola e che le hanno permesso di affrontare la malattia sempre a testa alta, con il sorriso e la serenità.
In questi anni Silvia, oltre a curarsi con periodiche trasferte a Milano, ha concluso i suoi studi universitari con una laurea magistrale in pedagogia clinica, discutendo una tesi sul mondo delle adozioni e degli affidi familiari. Ha organizzato il suo matrimonio e ha messo su casa. Si è buttata a capofitto nel sociale seguendo l'attività associativa per la quale era molto attiva sui social e sul territorio. Senza considerare che fino a poche settimane fa è stata vista al lavoro con i suoi pazienti, o meglio “utenti” come le piaceva chiamarli, a cui era tanto affezionata. Negli ultimi mesi, c’era stato il sentore che qualcosa non andava. Il suo corpo era sempre più debilitato e i tentativi di cura non davano buon esito. Per questo si era intensificata ancora di più la catena di preghiera per lei. Tutte le sere, alle 21:10 puntuali, ci ritrovavamo su zoom per la preghiera mariana invocando anche l’intercessione di don Luigi Giussani, di Enzo Piccinini e di Carlo Acutis.
Tanti quadratini rappresentativi dei tanti cuori che, stupiti, hanno imparato dal cuore di Silvia ad amare intensamente il reale, a sperimentare la libertà di abbracciare tutto nella vita. E com’era il cuore di questa giovane donna? Puro e limpido come acqua di sorgente dice la preghiera del padre de Grandmaison che è stata stampata e distribuita e che la stessa Silvia ha ripetuto tante volte in questi ultimi mesi. “Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze; un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione; un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene e non serbi rancore di alcun male”.
Guardava la vita con occhi diversi, Silvia. Lo ha riconosciuto anche Davide Prosperi a nome di tutto il movimento di Comunione e Liberazione di cui lei stessa e la sua famiglia fanno parte. “Portiamo nel cuore la sua fervida testimonianza di fede, che l’ha resa capace di offrire la sua malattia per la gloria di Dio, spendendosi nell’aiuto concreto di tante altre donne colpite dallo stesso male e ricordando a tutti noi il volto di Colui che dà senso alle gioie e ai dolori della vita”, si legge nel necrologio che è stato pubblicato dal quotidiano Avvenire.
I funerali di Silvia si sono svolti mercoledì scorso presso la Basilica di Santa Maria Novella, la stessa chiesa del suo matrimonio un anno e mezzo fa con Matteo, con una partecipazione commossa di tantissimi amici venuti anche da fuori Firenze. A dominare nei volti e nelle parole che sono state pronunciate è stato un senso di profonda gratitudine. “Un grande dolore, sì, ma anche un rinnovato stupore per come Cristo è stato capace di ‘vincere’ in lei, anche nel percorso drammatico che misteriosamente le è stato dato di attraversare”, ha scritto mons. Andrea Bellandi, arcivescovo di Salerno, nel messaggio che è stato letto all’inizio della celebrazione a cui erano presenti anche il vescovo di San Miniato, mons. Giovanni Paccosi, il sindaco Dario Nardella e il presidente della Fondazione Meeting per l’Amicizia tra i Popoli Bernhard Scholz.
La bellissima omelia di don Ignacio Carbajosa ha posto l’accento sul nuovo e definitivo sposalizio di Silvia, a cui tutti noi siamo chiamati, richiamando le nozze di un anno e mezzo fa che lui stesso aveva presiedute. “Gesù ha voluto far partecipare Silvia della Sua croce per il bene del mondo. Insieme alla sofferenza, le ha anche concesso, per la forza della Sua resurrezione, una sorprendente immedesimazione con la Sua Persona, così che Silvia ha potuto testimoniare quel nome in mezzo alle sue sofferenze. (…) Mendichiamo tutti una vita e una morte così. Oggi è un giorno di festa. Un giorno di nozze”.
Il momento più commovente e significativo è stato certamente l’intervento conclusivo di suo marito Matteo che ha voluto raccontare ai presenti quello che aveva visto, per rendere testimonianza dell’esperienza di Silvia. Ha letto alcuni stralci di una lettera che la moglie aveva indirizzato al papà Andrea nel novembre scorso quando aveva compreso che la sua lotta era cambiata, non più per guarire ma per abbandonarsi al disegno di un Altro. “Babbo volevo dirti che sono serena, ovviamente molto addolorata perché mi rendo conto che Gesù mi vuole sempre di più in una forma che mai avrei pensato però sono sua e quindi non posso che fidarmi. Se ripenso a tutta la mia vita mi rendo conto che tutto quello che ho fatto l’ho fatto per amore, un amore che ho sempre avuto dentro e che dovevo darlo agli altri, e vedere i frutti di questa cosa mi fa capire che la mia vita ha avuto e ha un senso, dare questo amore”.
Ti sei fidata, carissima Silvia. A noi il compito di guardare alla tua testimonianza e di dare valore all’istante in tutta la nostra vita per giungere a quel compimento a cui tu non hai opposto resistenza.