Banchi di vita: il racconto intimo di una giovane professoressa
Nella Giornata mondiale del Libro, martedì 23 aprile, il Centro Culturale di Firenze e la Libreria universitaria Campus hanno presentato “Banchi di vita”, scritto da Cecilia Ricci ed edito da Helicon. Nella grande sala del quartiere Novoli, l'autrice si è confrontata con Alessandro Farini e Pellegrino Giornale in un dialogo che ha ripercorso le principali tappe del diario intimo di una professoressa di storia e filosofia.
Quella fiorentina non è stata la prima tappa del tour di presentazioni che normalmente si programmano all'uscita di un nuovo libro. Cecilia, infatti, era già stata a Perugia dove ha studiato all'università e ad Arezzo, la sua città natale. L'appuntamento nel capoluogo toscano, però, ha avuto un gusto diverso ed ha segnato un momento importante perché è proprio qui che nove anni orsono è cominciata la sua grande avventura nella scuola, prima paritaria e poi statale, fino ad oggi che è docente presso il Liceo Scientifico Alessandro Volta di Colle Val d'Elsa.
E' difficile incasellare il libro di Cecilia in un solo genere letterario. Non è un'autobiografia ma neppure un trattato di filosofia. Non è un saggio sulla condizione attuale della scuola italiana ma neppure un romanzo ispirato alle vite dei suoi alunni. Probabilmente la chiave di lettura del testo è contenuta nel titolo “Banchi di vita”. Il tentativo dell'autrice, infatti, è stato quello di raccontare la scuola attraverso la vita e viceversa. Spesso siamo portati a separare il lavoro da tutto il resto, a non portarcelo a casa ed invece Cecilia ci dimostra che non c'è separazione tra le due realtà; anzi c'è un'unità che non toglie la fatica, il dolore e neppure il dramma dell'esistenza umana ma, piuttosto, ne esalta la domanda di felicità e di pienezza che accumuna tutti, professori e studenti, adulti e adolescenti.
Questo concetto è emerso molto bene nel corso della presentazione, apertasi con l'esecuzione di “A modo tuo” di Ligabue interpretata da Rosaria, Stefano e Giampaolo. Cecilia ha esordito spiegando perché ha deciso di raccontare la sua storia e di scrivere un libro; un'operazione che solitamente avviene in età più matura o addirittura al termine di una carriera lavorativa. La ragione sta nella gratitudine che questa insegnante ha maturato negli anni fiorentini grazie agli incontri fatti, alle facce di colleghi ed alunni che vengono menzionati nel libro seppur con nomi di fantasia.
Una gratitudine che si è riversata nel libro ma che l'ha portata nel corso del tempo a cambiare il suo modo di stare in classe all'inizio caratterizzato da una rigidità che difficilmente poteva fare breccia nell'animo di ragazzi con vite già segnate da sofferenze interiori, drammi familiari, delusioni affettive, acuitesi poi con lo scoppio della pandemia.
Cecilia ha fatto l'esempio di Angelo e della sua maschera triste che l'aveva subito colpita al suo ingresso nella sua prima quinta liceo. “Il suo sguardo spento annunciava una resa che era iniziata da tempo. Una bandiera bianca alzata, scambiata per pigrizia, indolenza e rassegnazione, tutte conseguenze di un percorso spesso doloroso alla ricerca drammatica di sé. Sapevo che la ferita profonda nasce quando il proprio desiderio si dimena a vuoto raccogliendo solo risposte a buon mercato, inadeguate ad abbracciare la crosta di obiezioni che cresce nella nostra vita. È un dramma viverlo verso i trent’anni, lo è infinitamente di più quando ne hai diciotto e sei solo”.
E' da quel momento che la professoressa capisce che è la sua materia, la filosofia, deve intercettare la vita dei ragazzi, le loro domande, i loro perché. “Banchi di vita” è proprio una confessione di ciò che Cecilia ha scoperto, cioè cosa ha appreso di lei e degli studenti in questo viaggio fatto di tante cose: delusioni, arrabbiature, scontri ma anche preferenza, corrispondenza, passione e amicizia vera.
“Ignoriamo quasi sempre che insegniamo per scoprire realmente quello che sapevamo in astratto. Iniziamo a farlo assistendo grati al miracolo della corrispondenza. Poi ce lo scordiamo, a poco a poco. Cominciamo a sfrecciare assenti sulla via della pianificazione cercando solo rapporti sicuri. Poi accade qualcosa, un imprevisto. Ti imbatti in qualcosa o qualcuno sperimentando di essere preferita e ti ricordi di esserlo stata da sempre. Dall’inizio della tua vita.”
Nel libro si avverte l’urgenza dinanzi all'imprevisto di mostrare la contemporaneità della filosofia cioè la sua pertinenza alla vita concreta sapendo che nei momenti difficili la domanda su ciò che vale veramente si fa più concreta e urgente come è successo anche a lei quando ad esempio parla di Guadalupe e Donatella, due pilastri della sua formazione e della sua stessa vita, entrambe scomparse prematuramente.
Ma il libro di Cecilia è bello anche perché parla della dimensione dell’obbedienza. Non è dichiarata esplicitamente ma si trova chiaramente in alcune cose che racconta. L'obbedienza non è una virtù che va tanto di moda, soprattutto quando la si associa alla realtà che spesso consideriamo nemica o comunque difficile da affrontare e accettare. L'autrice, invece, testimonia che l'obbedienza è possibile in quanto talvolta si è messa al servizio della realtà anche se, alcune circostanze erano distanti dai suoi desideri e aspettative.
E' stato il caso dell'anno in cui dall'insegnamento della filosofia è passata al sostegno, affiancando Christine che si trovava in carrozzina. Un'esperienza non facile all'inizio soprattutto perché in Cecilia è riemersa tutta la domanda sul limite, sul dolore innocente, sulla vita e sulla morte. Eppure anche attraverso questa ferita ha portato a casa un insegnamento che ancora oggi la commuove fino alle lacrime.
“Christine mi insegno`, in silenzio, che la grazia difficilmente segue percorsi piani. Predilige i sentieri più ripidi e stretti, in apparenza inutili perché più lunghi, e ti viene misteriosamente incontro attraverso una croce. Col tempo compresi che la pietra di scandalo della mia ragione non era il male fisico di fronte a cui ero inevitabilmente impotente, bensì la serenità che vedevo quotidianamente dipinta nel volto di Christine. Era fuori ogni logica che quel martirio fisico potesse produrre qualche forma di letizia. Eppure lo faceva, alimentando il suo stupore per ogni singola ora di lezione passata insieme, gonfiando la sua fame vorace di vita”.
Non bisogna pensare però che “Banchi di vita” sia un libro ad esclusivo uso e consumo di chi opera nel mondo della scuola. Il fatto educativo riguarda tutti, nessuno escluso, a cominciare dai genitori e, come diceva don Giussani in Viterbo '77, non è un metodo ma comunicazione di sé.
Ma è anche un omaggio alla meglio gioventù che di solito viene denigrata e giudicata. Non si può allora concludere meglio che andare a trascrivere alcuni passaggi della lettera che Cecilia ha indirizzato ai suoi alunni. “Tenete desta la voglia di capire, alimentate il tarlo del desiderio, cercando ciò che vi compie con lo sguardo ed il cuore in attesa. Troverete un tesoro enorme, nei tempi e nelle modalità che Lui ha pensato per voi. Non fatevi schiacciare dal timore del futuro, dalla persistente preoccupazione di non aver trovato ancora una vostra vocazione. Potete seguire dei validi indizi: la bussola che vi indicherà il sentiero da seguire sarà la profonda letizia del cuore, la vostra felicità interiore. Siate fedeli sempre al vostro cuore e alle sue pretese. Non sotterrate il vostro desiderio di felicita`, solo quello permetterà alla vostra vita di essere una continua scoperta”.
Ecco perché insegnare è davvero il mestiere più bello del mondo!