La santità di Andrea Aziani è quella di cui abbiamo bisogno oggi
“Cristo è un uomo che non si può sentire, che non si può incontrare, con cui non si può stare se non in una febbre di vita, in una volontà di vita, in un gusto della vita, in una passione per la vita”.
Gianni Mereghetti e Gian Corrado Peluso avranno pensato a queste parole di don Luigi Giussani quando hanno scelto il titolo del libro dedicato ad Andrea Aziani, il laico consacrato di origini lombarde scomparso prematuramente in Perù nel 2008 e per il quale è in corso il processo di beatificazione.
“Febbre di vita” è edito da Itaca ed arriva nell'anno in cui si ricordano il 15° anniversario della morte e il 70° della nascita di Andrea che oggi avrebbe la stessa età del movimento di Comunione e Liberazione al quale apparteneva come Memores Domini.
Il volume è stato presentato venerdì scorso a Firenze nell'auditorium del Polo universitario di Novoli in una serata molto partecipata organizzata dal Centro Culturale. Un omaggio doveroso ad una figura che nel capoluogo toscano ha vissuto per tre anni, dal 1986 al 1989, prima di partire in maniera definitiva per l'America Latina.
A parlare di Andrea sono state interpellate tre persone che hanno vissuto a stretto contatto con lui. Innanzitutto il coautore Peluso, chiamato Dado dagli amici, professore di Lettere al Liceo “Aldo Moro” di Bucarest, che ha lavorato con Aziani fin dal 1976 a Siena, per quattro anni, e poi in Perù, per dodici anni, come docente universitario e preside di Facoltà alla Università Cattolica Sedes Sapientiae.
Poi mons. Giovanni Paccosi, sacerdote fiorentino prima di diventare vescovo di San Miniato e responsabile America Latina per CL. Lui ha conosciuto Andrea nel 1978 e nel 1999 lo ha raggiunto in Perù dove hanno collaborato fino al giorno della sua scomparsa. Ed infine Andrea Simoncini, professore ordinario di diritto costituzionale all'Università di Firenze, che giovanissimo fu mandato a Siena da Lele Tiscar per un comizio ai tempi del referendum sull'aborto e lì ha avuto modo di iniziare il suo rapporto di amicizia con Aziani.
Tre testimoni in presa diretta che, attraverso i loro racconti e la lettura di alcune lettere di Andrea agli amici, hanno parlato di quella tensione alla totalità che porterà questo giovane di Abbiategrasso a dare tutta la vita perché Cristo fosse conosciuto, abbracciato e amato fino ai confini del mondo. Una misura alta della santità che però non crea una distanza ma anzi la dilata fino a farla diventare desiderabile per ciascuno.
Parlando delle ragioni che lo hanno portato a proporre la scrittura di un libro su Aziani, Peluso ha detto che “Andrea, come il Giuss, non ha legato a sé e così ha generato un popolo. Uno guarda indietro e cresce lo stupore perché un Altro fa la storia, cioè uno si accorge dell'opera che un Altro ha condotto”. A proposito della febbre di vita di Andrea, il suo amico ha sottolineato che “gli anni a Siena sono stati di una intensità incredibile. Quello che portavamo era per tutti anche se i primi oggetti della missione eravamo noi quattro (Aziani, Peluso, Lorenza Violini e Ornella Milan mandati in Toscana dal fondatore di CL)”.
Andando avanti, Dado si è soffermato sul “fascino di una vita bella, vera che per Andrea era già dentro una coscienza incredibile. A Firenze ci fu un coinvolgimento grande con la pastorale giovanile portata avanti dal cardinale Piovanelli ma la svolta, il fiorire fu quando Giussani gli chiese se era disponibile ad andare in Perù. Lui andò da solo, in maniera umile e lieta. Iniziò un'opera e lui era il punto di unità, di coscienza. Oggi l'università da lui fondata esiste ancora, è andata oltre lui”.
Per Paccosi la figura di Andrea è un richiamo a vivere con la sua coscienza nelle circostanze che vive oggi. Anche i suoi ricordi sono molto significativi. “Nell'Ottanta il Papa doveva venire a Siena e ci riunimmo per organizzare questa visita. Rimasi colpito dalla passione di Andrea per Cristo, per la Chiesa e per il movimento. Diventò per me un punto di riferimento. L'amicizia diventò forte quando venne a Firenze. Mi disse che andava in Perù ad una fermata dell'autobus. Poi sono andato anche io senza neanche immaginarmelo perché il vescovo di allora era contrario all'inizio. Andrea era testimone di Cristo ma quando morì fu per molto uno sgomento. La sua presenza era un richiamo all'ideale per il quale si vive. C'era un punto che univa tutte le cose e quindi era tutto a tema. Una totalità che ti fa domandare per che cosa vivi. La santità di Andrea è quella di cui abbiamo bisogno oggi: essere tutto di Cristo che ti permette di abbracciare tutta la realtà”.
Per Simoncini il libro è la “storia di una febbre di vita in cui la fede e l'incontro con l'esperienza cristiana giocano l'elemento decisivo. Io ho conosciuto Andrea appena arrivato a Firenze da Giulianova. Nell'81 una persona importante della mia vita, Lele Tiscar, mi disse che a Siena c'era uno che mi chiedeva di andare lì per parlare del referendum sull'aborto. Già allora Andrea andava ad un ritmo impossibile. Mi colpirono la sua velocità e la sua intensità che non erano il frutto di un temperamento. Incontrandolo, mi resi conto che questa intensificazione del tempo fosse dovuta a qualcuno che lui aveva incontrato, amava, più del suo stesso tempo. Non era solo una dote naturale ma un giudizio per la vita: per chi si vive, per chi vale la pena vivere”.
Su questo tema c'è stata una chiosa interessante di Dado: “Il problema di Andrea non era essere santo ma essere se stesso. E' il problema dell'io: ognuno di noi è questo io che può cadere nel nulla o nell'essere. A Siena c'è l'esplosione di un io. Si forgia la sua persona come vocazione, la memoria di Cristo è l'unico lavoro da fare. La sua profonda obbedienza era la sua profonda libertà. È stato un padre perché è stato figlio. Ha generato perché non è mai partito da sé. Ognuno veniva lanciato nell'avventura della vita”.
Per gli anni trascorsi insieme a Lima, il vescovo Giovanni ha ricordato che Andrea “non aveva un incarico particolare ma era l'anima dell'università. Tutti gli anni trovava un tema per rilanciare l'impegno di fare una università di alto livello con il minimo delle risorse. C'era la coscienza che non eravamo lì per aiutare i giovani a fare un salto ma che potessero venir fuori ragazzi con una coscienza del proprio io, una coscienza cristiana della vita”.
“La vita ha questa statura: è un rapporto con Cristo presente. La vita è rapporto con Uno e da qui tu guardi tutto. Bisogna credergli, sentire la sua presenza in qualsiasi situazione. Una statura nostra”, ha concluso Dado.
Il video integrale dell'incontro è disponibile sul canale youtube del Centro Culturale di Firenze.
È possibile vedere l'incontro su youtube? Grazie