"Cristo è l'orizzonte affidabile per l'avventura della vita"
Don Dante Carolla ha dedicato tutta la vita all’educazione nella convinzione che solo il divino salva l’umano. Dopo il servizio pastorale in alcune parrocchie di Firenze, è stato per molti anni direttore prima dell’ufficio diocesano di pastorale scolastica e poi di quello catechistico, nonché delegato arcivescovile per le scuole cattoliche.
Per alcuni anni il sacerdote ha scritto lettere ai catechisti che sono state raccolte in due volumi presentati lo scorso anno nel capoluogo toscano. Attualmente è canonico della Cattedrale di Santa Maria del Fiore; assistente ecclesiastico dell’Ordo Virginum nonché direttore spirituale del Seminario Maggiore di Firenze.
Proprio qui, alcuni giorni fa, il suo ultimo libro, pubblicato ancora una volta da Itaca Edizioni, è stato protagonista di un incontro organizzato dal Centro Culturale di Firenze, a cui hanno partecipato il vescovo Edoardo Cerrato, il poeta Davide Rondoni e don Alessandro Clemenzia, vicepreside della Facoltà Teologica dell'Italia Centrale.
“Chi è mai Costui?” è la domanda che campeggia sulla copertina insieme al sottotitolo che spiega l'intento dell'autore: elencare le parole insopportabili di Gesù, ma indispensabili alla nostra felicità. Una indagine alla scoperta del Gesù storico che va compreso solo andando alla sua origine divina.
Alla presentazione avrebbe dovuto partecipare anche il biblista don Filippo Belli che, impossibilitato dall'influenza, ha inviato un testo scritto di cui siamo in possesso e che vi proponiamo la lettura.
Don Dante ci ha abituati negli anni a vedere venire alla luce delle piccole perle originali dalla sua penna. Ha perfino scritto un libro di Omelie per i funerali! Ma ricordo il dolcissimo volume sulla tenerezza di Gesù, oppure il paradossale L'ateismo dei salmi.
Questa sua ultima fatica va la cuore della fede cristiana e della vita stessa di don Dante, ponendo una domanda fondamentale: Gesù è quello che dice e pretende di essere? Gli interventi che mi hanno preceduto, e il volume stesso di don Dante, hanno inteso rispondere a tale domanda.
Ora, c'è una porzione della letteratura primitiva cristiana che don Dante non ignora e che affronta alla fine del volume: le lettere di San Paolo. Rispetto a a questi testi la domanda che don Dante si pone è interessante in vista della sua ricerca. «Come è possibile che in meno di 30 anni si sia potuta elaborare una teologia così elaborata, profonda ed elevata circa la risurrezione e la vita eterna, partendo da una fine del Protagonista tutto sommato, recente, così ingloriosa e infame».
A cosa fa riferimento don Dante? Il titolo del capitolo finale in cui ne tratta è significativo a riguardo: Cristo è tutto. In effetti, abbiamo alcuni testi, in particolare la lettera ai Colossesi, che è tutta incentrata sulla figura di Cristo, in cui tale figura è presentata in maniera «alta» come si usa dire nel linguaggio tecnico teologico. Si tratta di una cristologia alta. Il che vale a dire che Gesù è descritto, se così si può dire, come Signore di tutto, preesistente tutte le cose, che in Lui sono create; Signore del cosmo e della storia, ricapitolatore di tutto. Si potrebbe, con una formula sintetica, dire che in Cristo c'è l'origine, la consistenza e il destino di ogni cosa e della storia umana.
Ora, sulla lettera ai Colossesi e sulla sua alta cristologia occorre dire due cose importanti:
1. Riguardo la datazione e l'autore di Colossesi, diversi autori negli ultimi due secoli circa hanno sostenuto (in forza della sua alta cristologia) che la lettera sia da datare ben dopo la morte di Paolo che, quindi, non ne sarebbe l'autore, bensì un suo presunto discepolo. Ora, senza entrare nei dettagli della questione, come ho già argomentato in un mio volume, ritengo, invece, che ci siano ottime ragioni per considerare che Paolo abbia scritto Colossesi intorno all'anno 60-61 d.C., quindi 30 anni dopo la morte di Cristo circa, come dice don Dante, accertando in questo modo uno sviluppo della cristologia molto rapido e intendo.
2. Tale alta cristologia, tuttavia, non è qualcosa di improvvisa e aggiunta successivamente. Essa è, piuttosto, il maturo sviluppo di elementi presenti fin dai primi scritti di San Paolo, dall'anno 50 d.C. in poi. Don Dante ne ha fatto accenno citando per esempio l'inno a Cristo presente nella lettera ai Filippesi.
Del resto tale alta cristologia altro non è che l'andare a fondo di un dato già presente nella prima predicazione incentrata sulla morte e risurrezione di Gesù, vale a dire che Gesù è il Signore, e in Lui solo c'è salvezza. Il genio riconosciuto di Paolo, del resto, è stato proprio quello di aver dato ragione in modo anche innovativo, di tutte le implicazioni, cercando di spingerle fino in fondo, dell'annuncio e dell'esperienza cristiana che ha investito così potentemente la sua vita. A una lettura onesta dell'epistolario si evince una profonda coerenza di contenuti lungo tutti i suoi scritti.
Ma verrei ad un ultima implicazione di queste rapide riflessioni.
Don Dante l'ha espressa in questo modo: «Se confrontiamo queste affermazioni sbalorditive con le domande, le inquietudini dell'uomo moderno e contemporaneo, noi scopriamo una specie di armonia prestabilita tra le nostre drammatiche domande e le solenni, imponenti, pacifiche affermazioni dell'inno cristologico di Colossesi».
Il che equivale a dire che le grandi affermazioni che troviamo in alcuni testi di Paolo riguardo a Cristo – come ad esempio «tutto in Lui consiste», o «tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui» – non sono solo e tanto materiale per alte disquisizioni teologiche di accademici e ecclesiastici, ma piuttosto la sponda ultima a cui si può arrivare per dire l'esperienza cristiana.
Infatti, cosa accade alla singola persona nell'incontro con Cristo? Ne abbiamo diversi esempi nelle pagine del Vangelo, come quando Pietro dice a Gesù: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». È l'esperienza di una corrispondenza senza paragoni tra ciò che il cuore umano attende e desidera, e la persona di Gesù. Così che il limite ultimo della ragione, del cuore umano che cerca il significato delle cose e della vita, trova un cammino percorribile di risposta: «Io sono la via, la verità e la vita» che a me piace tradurre con: «Io sono la via alla verità della vita», ovvero tutto, il significato, l'orizzonte affidabile per l'avventura della vita.
«Tutto in Lui consiste» è la scoperta della vita cristiana piena del suo significato e quindi di incidenza nella storia, diventando cultura, carità, missione.
In tal modo potremmo dire che la grande apologia del cristianesimo, la dimostrazione di chi è Cristo, è il popolo cristiano, è la Chiesa, è il singolo credente, in qualunque situazione e vocazione si trovi, dal presidente di una nazione, alla casalinga che spazza la casa. Gente, insomma, che afferma per quello che vive, e come lo vive, che Cristo è tutto, che in Lui tutto consiste.