“La Repubblica di Barbiana: la mia esperienza alla scuola di Don Milani”
“Per noi don Lorenzo è stato un maestro e un secondo padre”. A parlare così è Paolo Landi, un ex alunno della scuola di Barbiana. Ho ascoltato la sua testimonianza nel corso di un incontro on line organizzato dalla Biblioteca delle Oblate di Firenze per presentare “La Repubblica di Barbiana: la mia esperienza alla scuola di Don Milani”, un libro di memorie in cui, partendo dal racconto autobiografico, si attualizza l'insegnamento del priore finito in esilio sul monte Giovi.
Landi arrivò a Barbiana nei primi anni '60. Era nato a Vicchio di Mugello nel 1948 in una famiglia di contadini. Dopo la scuola elementare e di avviamento, il babbo lo presentò a don Lorenzo con il quale trascorse tre anni prima di partire per l'Inghilterra e la Francia per le sue prime esperienze lavorative in fabbrica. Una esperienza breve ma intensa che ha segnato tutto il suo percorso successivo di sindacalista nella Cisl ma anche come fondatore dell'associazione di consumatori Adiconsum e della Fondazione per il consumo sostenibile.
Paolo voleva studiare ma la sua famiglia era priva di mezzi e così si ritrovò alla scuola di don Milani. Fu suo padre a prendere l'iniziativa di portarlo a Barbiana perché aveva saputo che c'era un prete che faceva scuola gratis ed era dalla parte dei poveri. “Ricordo che una domenica salimmo con la lambretta. Era estate e don Lorenzo stava facendo scuola sotto la pergola, come usava fare quando il tempo era bello. C'erano una ventina di ragazzi, tutti seduti. Lui era sulla poltrona di vimini e stava spiegando il Vangelo che aveva appoggiato sulla tonaca. La cosa che mi colpì è che dopo due ore e mezza aveva spiegato solo tre righe del Vangelo perché si fermava sull'etimologia delle parole e sul contesto storico. Una cosa del genere non l'avevo mai vista. Pensavo di sapere tutto ed invece capii presto di non sapere proprio nulla, pur frequentando la parrocchia”.
Da quel momento, ogni giorno, Paolo saliva da Vicchio a Barbiana. Grazie a don Milani, imparò il francese, lo spagnolo e l'inglese; lingue che gli tornarono utili quando spiccò il volo dal punto di vista professionale. “Mio padre ci teneva tanto al diploma ma don Lorenzo gli disse che avrei scoperto da solo che ci sono cose più belle. Così iniziò la mia esperienza. Era il 1963. Sono rimasto lì tre anni, il periodo più bello perché è il momento in cui nascono le Lettere di Milani. I suoi insegnamenti mi sono stati utilissimi in tutta la vita. Mi ricordo che mi consigliò per il primo anno di tenere la bocca chiusa per ascoltare e imparare ma poi di avere sempre il coraggio di dire la mia opinione”.
Nel libro, pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina, la storica casa editrice di don Milani, emerge una nuova lettura di don Lorenzo che fu emarginato dall'allora vescovo Florit, assieme al prete operaio don Borghi. Entrambi furono salvati dalla sospensione “a divinis” da un intervento del Papa Paolo VI che espresse il suo sostegno alla scuola di Barbiana inviando un assegno.
“Don Lorenzo era una persona solare, con cui si stava bene assieme. Certamente era anche di un rigore estremo. A Barbiana perdere tempo era considerato un delitto. Il suo modo di educare aveva lo scopo di insegnarci a reagire, ad avere sicurezza in noi stessi perché i contadini erano molto timidi a differenza dei ragazzi di città molto più spavaldi. A me è capitato di essere in dissenso da lui e gliel'ho anche detto in modo abbastanza forte. Con lui era molto bello discutere perché aveva una capacità incredibile di analisi dei problemi che andava sempre oltre e ti lasciava incantato”.
La testimonianza di Don Milani si racchiude in un binomio secondo Landi: è la parola che fa eguali, che fa sovrani, che apre al divino, ma è la coerenza l'impegno, la testimonianza che rendono credibili. “Questi concetti sono stati ripresi anche da Papa Francesco nella sua visita a Barbiana quando ha aggiunto che la parola rende i cristiani consapevoli. Don Lorenzo avrebbe detto che la Chiesa non ha bisogno di cristiani pecoroni ma di cristiani coscienti. Lui associava sempre la parola alla testimonianza, infatti il suo impegno era per metà legato alla cultura e per l'altra metà all'esempio. Se uno non coglie queste due dimensioni del suo messaggio non può capire tutta la portata del suo pensiero. Lui non ha mai separato la parola dall'impegno e dalla coerenza”.
Questo grande messaggio sarà riconosciuto dalla Chiesa, 25 anni dopo la morte. “Quando si è spento, don Lorenzo si trovava nella condizione di esiliato dalla Chiesa, emarginato dalla scuola ufficiale e condannato dallo Stato per apologia di reato. Oggi si riscopre tutta la portata del suo pensiero che a volte è stato strumentalizzato da partiti politici e da riviste. Lui aveva fatto la scelta del sociale ma sosteneva che la Chiesa dovesse essere indipendente dalle ideologie e dai governi”.
Per Landi molti autori hanno scritto su Don Milani non conoscendolo, o conoscendolo per sentito dire o per cose lette. ““La molla a fare questo libro è stato il giorno in cui Papa Francesco è venuto a Barbiana a pregare sulla tomba di don Lorenzo. Rientrando a Firenze mi sono accorto che in libreria c'era un tavolo pieno di libri sulla figura del priore. Sfogliandoli ho visto che molti autori dicevano di essere stati a Barbiana ma io non li avevo mai sentiti neppure nominare. In quel momento mi sono deciso a scrivere e in cinque mesi ho completato un lavoro che cerca proprio di mettere in risalto l'esperienza di un figlio di contadini, che viene bocciato all'esame di ammissione e che, non avendo alternative viene mandato da questo prete”.
A proposito della scuola di Barbiana, Landi rievoca alcuni tratti della pedagogia di don Milani. “Lui insegnava attraverso l'incontro con le persone. Chiunque aveva una esperienza da raccontare veniva messo in cattedra e torchiato dalle nostre domande per imparare gli aspetti positivi e negativi della vita. Venivano giornalisti, preti, insegnanti, artigiani, lavoratori, sindaci, sindacalisti. Molto interessante era anche la predica di mezzogiorno perché ogni giorno, nell'ora del pranzo, prendeva un ragazzo per parlare a lungo con lui. Era un modo per avere un contatto diretto perché noi non eravamo solo numeri o nomi su un registro ma persone con i propri desideri, sogni, difficoltà”.
La repubblica di Barbiana, come la chiama l'ex alunno, era una grande occasione di responsabilità e di libertà. “Ci sono tre fasi nella scuola di don Milani. La prima è quando si rivolgeva soltanto ai ragazzi di Barbiana, figli di contadini. Poi si è allargata ai ragazzi delle parrocchie vicine, sempre con una forte motivazione. Infine, sono arrivati i ragazzi che venivano bocciati a Vicchio. Alcuni di loro erano bravi e volenterosi, altri invece non avevano voglia di studiare e riflettere. A tutti don Lorenzo dava fiducia anche se a volte c'erano lamentele da parte delle famiglie”.
L'autore è anche membro della Fondazione don Milani e, fino a quando non è arrivato il Covid, ha sempre percorso l'Italia in lungo e in largo per rendere la sua testimonianza particolarmente nelle scuole. “Dopo la visita del Pontefice c'è stato un rifiorire di interesse sulla sua figura. Negli anni scorsi, ho avuto incontri formidabili con i bambini e i ragazzi. Ciò che colpisce è il fatto che Barbiana è rimasta così com'era, un luogo spartano. Tre tavoli con le panche per fare la scuola. Eppure da lì è uscito un insegnamento che è stato ripreso in tutto il mondo”.