La mia esperienza come guida alla mostra di S. Giuseppe Moscati
Anche se in epoche storiche differenti, io e Giuseppe Moscati siamo nati entrambi a Benevento. Perciò sono stato molto contento quando un'amica mi ha comunicato al telefono che a Firenze, dove attualmente vivo, si stava organizzando una mostra dedicata al medico santo e mi proponeva di fare la guida.
Nella mia città di origine ci sono strade, chiese e scuole intitolate a Moscati, che quindi per me è sempre stato un nome familiare, ma devo confessare che non avevo mai approfondito la sua storia anche perché è una figura che poi ha svolto tutta la sua attività a Napoli.
Ho colto dunque l'occasione della mostra per immergermi nel personaggio e scoprire che è stato estremamente interessante per me vedere come lui ha affrontato la sua condizione di figlio, di fratello, di medico, di docente.
“Laico cioè cristiano” è la felice definizione che di Moscati diede il Meeting di Rimini dove la mostra fu allestita per la prima volta nel 2002. Laico cioè cristiano perché la sua vocazione è analoga alla nostra: la santità è per ognuno, è possibile a tutti, come ci ha fatto notare don Pierfrancesco Amati che è parroco a San Salvi dove i pannelli sono stati ospitati dal 13 al 22 ottobre scorsi.
Ciò che mi ha colpito in Moscati è che, al di là degli aspetti legati alla medicina, per lui tutto è stato occasione; ogni circostanza l'ha vissuta come una circostanza positiva. Non ha assistito passivamente agli avvenimenti che gli sono accaduti ma si è mosso.
Chi è stato Moscati? Medico, scienziato e benefattore. Sin dall'inizio della sua carriera fu considerato un medico controcorrente nell'ambiente sanitario del suo tempo, così pervaso di positivismo scientifico che riduceva l'uomo soltanto alla dimensione biologica. Lui, al contrario, si prendeva cura della salute integrale del paziente, e quindi non solo della salute del corpo, bensì anche quella dello spirito.
Si dedicava soprattutto alla cura dei poveri e dei bisognosi. Ogni mattina, prima di recarsi in ospedale, si alzava presto per visitare gratuitamente a domicilio la povera gente. Nel suo studio privato, come onorario, vi era un cestino con la scritta “Chi può, metta qualcosa. Chi ha bisogno, prenda”. Inoltre, quando era cosciente di trovarsi di fronte a gente veramente povera e bisognosa, lasciava di nascosto, tra le ricette, i soldi necessari per l'acquisto delle medicine.
Decise di rinunciare alla carriera universitaria perché consapevole del bene che poteva fare ai malati e ai giovani colleghi stando in corsia. Fu un medico che fece della professione una palestra di apostolato, una missione di carità, uno strumento di elevazione di sé e di conquista degli altri a Cristo salvatore.
In tutto questo, però, non è indifferente il fatto che Moscati iniziasse ogni giorno partecipando alla Messa così come molto importanti sono state le sue origini. Giuseppe era nato nel profondo Sud dove prevaleva un feroce anticlericalismo e una pervasiva ostilità alla fede cristiana. La sua famiglia, però, aveva conservato e alimentato la propria tradizione religiosa.
Proprio a causa di avvenimenti familiari aveva deciso di diventare medico. Quando aveva 14 anni fece esperienza del dolore in occasione di una lunga malattia sopportata dal fratello maggiore Alberto a cui prestò le sue attenzioni e le sue cure. Così come è stato per il diabete della mamma, una malattia che un secolo fa era incurabile, e che la portò alla morte, che Moscati diventò il primo medico a sperimentare l'insulina a Napoli.
Ci sono tante pubblicazioni dedicate al santo sepolto nella chiesa del Gesù. Io mi sono fatto aiutare nel prepararmi al turno di guida leggendo il libro di Paolo Gulisano, anch'egli medico e cultore della figura di Moscati, che abbiamo avuto poi la possibilità di conoscere ed ascoltare la prima sera della mostra.
Mi è piaciuto soprattutto quando ha detto che Moscati ha praticato l'arte della medicina e che ha messo nel suo lavoro tutta la fede che nutriva, tutto il suo desiderio di fare del bene perché vedeva in ogni malato il volto del Cristo sofferente. Tutto quello che faceva insomma era per la gloria di Dio. Fu medico per vocazione, cioè viveva il suo lavoro come risposta ad una chiamata.
Non solo questo però perché Moscati fu anche un grande scienziato, un genio della medicina e della diagnosi. Dimostrò con i fatti che tra scienza e fede non c'era alcuna opposizione.
La sua è stata una vita donata per gli altri, in maniera così piena ed intensa che morì all'età di 47 anni consumato dal suo impegno per i suoi pazienti. Il suo funerale, siamo nel 1927, fu un evento di popolo, Napoli gli tributò il giusto affetto e riconoscimento. Pochi anni dopo iniziarono le pratiche per il processo di beatificazione mentre le sue spoglie vennero traslate dal cimitero alla chiesa dove attualmente è possibile andare a fargli visita.
Nel frattempo cominciarono a verificarsi eventi prodigiosi, guarigioni difficilissime, ottenute grazie alla sua intercessione. Alcuni di questi miracoli hanno fatto sì che diventasse santo il 25 ottobre 1987 in una affollata celebrazione in piazza San Pietro presieduta da papa Giovanni Paolo II.
Sono trascorsi 35 anni da quel giorno eppure la devozione nei suoi confronti è molto forte come hanno testimoniato le tantissime persone che hanno affollato il chiostro di San Salvi. Per impegni professionali, ho potuto svolgere soltanto un turno pomeridiano alla mostra eppure è stato un via vai di gente di tutte le età; segno che il messaggio di Moscati è ancora attuale.